“Imparare ad Insegnare” di Marco M.

Imparare ad Insegnare

Come scuola, abbiamo ricevuto nei giorni scorsi una e-mail che contiene tanti spunti costruttivi che riguardano l’insegnamento. Questa mia risposta pubblica è personale e vuole essere un contributo seppur minimo alla possibilità di comprensione.  

La premessa dovuta è che tutte le scuole di Yoga chiamano i loro percorsi “corsi di formazione” perché danno gli strumenti necessari per l’insegnamento. Nel nostro caso non siamo poi così presuntuosi da decidere chi è pronto o meno per insegnare, ed inoltre onoriamo i tanti che si iscrivono per un legittimo interesse personale, senza nessuna intenzione di insegnare. In ogni caso l’unico vero giudice intransigente sulla bontà o meno di un insegnante è il “mercato”. Se un insegnante ha successo è bravo, se non lo ha non lo è. Semplice.

Gli studenti da un corso si aspettano per lo più di imparare tecniche ed immagazzinare informazioni, non sapendo che poi queste tecniche (posizioni di yoga, allineamenti ecc.) sono solo il 10% scarso delle componenti di un insegnante bravo e di successo. Le informazioni probabilmente valgono meno dello dell’1%. Il resto del 90% è imparare a relazionarsi con i potenziali studenti e risolvere i problemi più vari e disparati. Tra questi problemi, ad esempio, vi sono: cosa fare quando qualche allievo arriva in ritardo; cosa fare se a qualcuno squilla il telefono; come comportarsi quando qualcuno interrompe facendo domande non sempre costruttive; come gestire chi non ha la minima conoscenza tecnica o consapevolezza corporea per seguire una lezione. Gli allievi ai corsi di formazione che iniziano ad incontrare tali soggetti e modalità si devono ritenere avvantaggiate e non il contrario. Chi rallenta una lezione di allineamenti perché non è in grado di comprenderli e eseguirli dà l’opportunità al futuro insegnante di imparare come affrontare i “problemi” con i quali dovrà poi misurarsi. Quando qualcuno disturba una lezione non è colpa di quel qualcuno ma la responsabilità è dell’insegnante che gli permette di farlo. Le dinamiche “disturbative” che avvengono durante un corso di formazione non sono disturbi ma forse gli insegnamenti più preziosi. L’insegnante deve imparare a percorrere quella linea sottilissima dalla quale si cade, spesso e sovente, tra la disciplina intransigente e l’accondiscendenza, tra inutili eruzioni egoiche ed il divenire uno zerbino calpestato dagli allievi. Ogni situazione è sempre differente e non esistono manuali per preparare le persone a tutto questo. Osservare anche solo l’insegnante come li affronta ed il risultato che ottiene con quella modalità è parte del bagaglio di conoscenza da acquisire.

Per tutta questa serie di motivi, ed altri che non sto ad elencare, quando affermo che l’unica materia importante è la filosofia a discapito della tecnica, non lo faccio solo per il gusto della provocazione: lo credo davvero. La tecnica, qualunque essa sia, con un impegno intenso ma relativamente breve, due tre anni di solito, la si fa propria, mentre per tutto il resto una vita non basta. Se poi non è chiaro che non è “l’altro” che deve imparare come comportarsi ma io che devo capire come gestire il suo comportamento, l’impresa si fa assai difficile. 

m.m.