La via comunitaria

Qualche giorno fa una amica, vedendomi con una maglietta con la scritta “La via degli uomini è la comunità” mi ha chiesto: ”Ma ci credi davvero?”. Io ho interrogato dapprima me stesso ed ora con questo post le rispondo pubblicamente.

Non credo alle comunità hippie/freak/newage ovvero basate sull’ideale roussoniano del “buon selvaggio”. Secondo tale idea, e tutte quelle di derivazione illuministica, se prendi degli esseri umani, gli dai delle regole “chiare”, “giuste” e “paritarie”, dai a tutti la stessa possibilità di esprimersi e parlare con lo stesso “peso”, li educhi al buonismo ed al rispetto questi vivranno bene ed in armonia. Tutte le comunità esistenti in Italia o la gran maggioranza di esse, sono basate su questa idea malsana e chiaramente non funzionano.

Credo sia necessario perseguire un’idea di comunità differente, che abbia il compito di preservare quel poco di umano che è rimasto e che siano composte da davvero pochi individui, che condividono lo stesso sfondo culturale ed hanno, di conseguenza, interessi e linguaggio comune. Tale comunità può strutturarsi solo in senso verticale, ovvero con una gerarchia meritocratica e nulla che si avvicini ad una democrazia diretta e tanto meno rappresentativa. Forse il termine giusto da utilizzare non è comunità ma Clan, ovvero una sorta di famiglia allargata, senza per forza legami di sangue tra tutti i membri, che coinvolge non più di 20-30 individui. Chi appartiene al Clan persegue sempre e comunque prima gli interessi del Clan, è pronto a sacrificarsi per il bene della comunità e difende sempre e comunque gli amici ovvero le sole persone che vi appartengono. Chi è al di fuori non è per forza un nemico ma neppure un potenziale amico.

Ecco, forse partendo da tali premesse qualcosa di buono può uscire fuori e comunque oggi vale la pena provarci.     

m.m.

alessandra quattordio