“Viviamo” forse troppo di Marco M.
Sono convinto da sempre che la qualità e la dignità della vita siano l’unica variabile importante. L’attaccamento alla quantità è figlio di una società senza più alcun valore. Ai più, infatti, non importa come ma basta sopravvivere ed andarsene con meno sofferenza e più incoscienza possibile.
In una società sana si vive fino a quando si è indipendenti e si può badare a sé stessi. In una società sana gli anziani sono un tesoro immenso di “memoria” e saggezza e non dei bambini/vecchi che gravano sui famigliari sia in termini economici che di sensi di colpa.
In una società sana l’eutanasia non sarebbe neppure un qualcosa di cui discutere perché si muore con dignità prima di vedere la propria esistenza trasformata in inutile sofferenza. In una società sana non è un medico o un giudice che decidono quando staccare la spina, ma è la natura.
Se togliamo gli ultimi anni di vita di un individuo dove appunto l’individuo non è più in grado di fare nulla da solo, si scoprirebbe che la lunghezza media di vita non è sostanzialmente cambiata dai tempi in cui eravamo cacciatori raccoglitori. La conseguenza è che il tanto sbandierato “progresso” ovvero medicina, scienza ecc non ha migliorato in nulla la vita degli individui, se non prolungare l’esistenza quando non vale più la pena prolungarla.
Auguro a me stesso di spegnermi in un bosco o, meglio ancora, morire per difendere qualcuno o qualcosa in cui credo. Se poi finissi con un’arma in pugno nell’intento di difendere la persona che amo finirei direttamente nel Valhalla.
m.m.